"Il futuro dell'agricoltura italiana: manodopera straniera indispensabile". Il monito di Ciavolich
Chiara Ciavolich, della nota azienda di Loreto aprutino racconta la Sua esperienza agricola con quattro ragazzi ospiti dei centri di accoglienza.
A giugno eravamo disperati. Non avevamo manodopera, così mi sono recata al centro di accoglienza di Penne e ho assunto quattro ragazzi del Burkina Faso arrivati in Abruzzo per scampare a un paese assediato da gruppi armati islamisti e devastato dalla povertà. Sono bravissimi e lavoreranno in azienda per l’intera stagione della vendemmia, ma anche per il periodo della raccolta delle olive. Se posso, li terrò anche per la prossima estate». Ad affermarlo è Chiara Ciavolich, della nota azienda agricola di Loreto aprutino. Nei giorni scorsi ha postato una foto sui social con i quattro ragazzi, di circa vent’anni e poco più, ma quell’immagine ha suscitato una serie di reazioni a catena che hanno poi portato l’imprenditrice a fare una riflessione approfondita su una «visione a volte distorta della società, secondo cui si assisterebbe alla fine dell’agricoltura italiana».
In realtà, senza la buona volontà di Salam, Issouf, Oudou, Oumar, ospitati in uno dei centri di accoglienza straordinaria di Penne, Cas Lapiss, diretto da Damiano Ricci, il lavoro nell’azienda si sarebbe fermato.
«Sentimenti di ogni tipo, dall’ammirazione allo scoraggiamento, dall’odio razzista all’odio antirazzista, hanno riempito la mia pagina facebook», dice Chiara Ciavolich. «Quanta tensione, quanto odio, quanta frustrazione. Davvero, non è necessario».
«Questi ragazzi sono il futuro della nostra agricoltura e a sostenerlo per primi sono i miei operai bianchi, eterosessuali, caucasici», scrive sul sito dell’azienda. «Chi lavora per davvero in agricoltura sa bene che non ci sarà altro modo possibile di sopravvivere per le aziende agricole, e che oltre al lavoro degli immigrati, assunti regolarmente e retribuiti quanto gli italiani, l’altra grande necessità per la sopravvivenza del made in Italy di cui tanto ci piace riempirci le bocche, è l’acqua». E ancora: «Questi sono i fatti. Non si tratta di dare giudizi di valore, ma è un fatto che ragazzi italiani che vogliano lavorare in agricoltura non se ne trovano mica poi tanti. Dicono: “basta pagarli di più”. Di più rispetto a cosa? A ciò che prevede la legge, a ciò che tu imprenditore puoi permetterti di pagare in più rispetto alla legge (o si pensa che tutti noi imprenditori agricoli siamo caporali che operiamo nell’ illegalità e che ci arricchiamo infinitamente a scapito e sulle spalle della nostra forza lavoro?)».
E poi conclude: «La mia personale esperienza familiare e lavorativa è piena di esempi di buona immigrazione, così come di buona manodopera locale. Non faccio mai di tutt’erba un fascio. Lascio questo esercizio stilistico alla retorica dominante e dogmatica piena di certezze assolute. Nei miei primi vent’anni di lavoro ho visto un po’ di tutto…Adesso vedo questi ragazzi, che hanno 20 anni appena e per ora, quando lavorano, mi dicono solo Grazie. Io dico Grazie a Voi».
Sara Del Vecchio12 agosto 2024 12:05